Scompare a 71 anni l’artista Ferruccio D’Angelo

Il pensiero di  Ezio Dema, presidente di AiCS Torino

Con la morte di Ferruccio D’Angelo ieri abbiamo perso un’altro amico. Un amico personale e di Aics Torino APS, in cui per tantissimi anni è stato un prezioso dirigente con la associazione Giacomo Grosso a Cambiano, di cui è stato fondatore e presidente, e con il lavoro artistico. Si perché Ferruccio era un artista, un apprezzato artista le cui opere sono state esposte in musei e gallerie importanti, e un maestro e divulgatore che ha saputo insegnare e portare l’arte a scuola, nella sua associazione, in AiCS e nel suo territorio (lui tra i promotori della manifestazione Cambiano come Montmartre).

 

Ma è stato anche un amico di trent’anni con cui era sempre un piacere rincontrarsi in Aics, per strada o nelle inaugurazioni di mostre. Erano incontri di abbracci, di discussioni, sempre più amareggiati, su politica, cultura, laicità, di cose da fare insieme. Era Valdese e come me fortemente convinto di una laicità delle istituzioni che fosse valore assoluto e di una etica della politica che fosse esempio positivo di libertà e uguaglianza, di diritti e inclusione.

 

Quando, qualche mese fa, mi aveva cercato insistentemente per avere con urgenza una mia consulenza voleva capire come fare andare avanti la sua associazione ora che non poteva più dedicarsi. Mi aveva raccontato dei suoi problemi di salute, lo sentivo affaticato e preoccupato, un po’ spaventato ma pensava a come dare continuità al suo bel progetto.

 

Tanti i ricordi di Ferruccio, tanta tristezza. Ricordi anche legati a vicende personali giovanili che avevano incrociato Cambiano e un amore adolescenziale di una giovane dolce ragazza di cui poi mi aveva raccontato la triste e tragica storia anni dopo.

 

Ferruccio ha reso questo nostro pezzo di mondo più interessante, più bello, più colorato come per la sua arte e ora ci mancherà.
Voglio ricordarlo anche con alcuni suoi disegni che mi ha regalato e con quella ‘Rosa di sangue’ che ha realizzato per Aics nel 2020 per la #giornatacontrolaviolenzasulledonne
Ciao Ferruccio, che la terra ti sia lieve

 


 

Scompare a 71 anni Ferruccio D’Angelo, artista calabrese residente da decenni a Cambiano, importante esponente della generazione post-moderna di artisti emersi tra la metà degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta.

Di seguito biografia e testo critico di Edoardo Di Mauro, Vicedirettore dell’Accademia Albertina e Direttore del Museo d’Arte Urbana di Torino. www.ferrucciodangelo.it

Ferruccio D’Angelo è nato a Civita (Cosenza); frequenta l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e conclude gli studi discutendo una tesi su Piet Mondrian e il Neoplasticismo.

E’ stato docente di Teoria e Metodo della Comunicazione Visiva e Discipline Plastiche presso il Primo Liceo Artistico di Torino.
Nella prima parte del suo percorso artistico, si dedica a una serie di passaggi stilistici che lo porteranno a una ricerca pittorica che muove da subito verso i grandi movimenti dello Spazialismo Informale del quale condensa le esperienze salienti dei massimi esponenti, dall’action painting di Pollock, Willem de Kooning e Franz Kline. È affascinato in particolar modo dal milanese Lucio Fontana e dal russo (ma naturalizzato americano) Marc Rothko.
Nella seconda metà degli anni ’80 conosce personalmente alcuni esponenti dell’arte povera (Merz, Pistoletto, Zorio,) con i quali entra in rapporti di amicizia presso lo Studio Noacco, propria galleria di riferimento.

In seguito sviluppa una ricerca sul ruolo dell’arte nel nuovo contesto sociale, in un nomadismo linguistico che va dalla pittura alla scultura, all’installazione. L’artista trova le sue fonti d’ispirazione nelle fascinazioni e nelle ambiguità della società contemporanea: residui o scarti industriali, lattine, bidoni, pellicole fotografiche, cartone, elevati a simbolo della condizione contemporanea, diventano protagonisti delle sue opere (L’albero della vita, l’albero della morte, Galleria Gabriele Fasolino, 1987; Un operaio, Studio Noacco, 1989; Cinema, Galleria Piero Cavellini, Milano, 1991; Galleria Unimedia, Genova). Nel 1992 partecipa a D’ora in avanti, 30 giovani artisti, 44° Premio Michetti, Fondazione Michetti, a cura di Renato Barilli, e l’anno successivo è presente alla Biennale d’Arte Contemporanea Rentrèe Premio Marche.

A Torino, nel 1994 partecipa a Il giardino dell’arte, Ex zoo Parco Michelotti, e a Equinozio d’autunno (Galleria Franz Paludetto, Castello di Rivara); nel 1995 è presente con un’installazione al Museo del Paesaggio di Verbania. E ancora nel 1997 realizza una serie di dipinti sul coperchio di bidoni della spazzatura ad Officina Italia, presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna, e partecipa a Va pensiero. Arte italiana 1984-1996, promossa dai Musei Civici di Torino. Negli anni successivi, ancora una serie di mostre personali e pubbliche. Tra queste, Una Babele post-moderna (Palazzo Pigorini, Parma, 2002); Interni Italiani 4. Novarum (Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen, 2005); BAM/Biennale d’Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte (Villa Giulia, Verbania, 2006). BAM Project ArtDesign (Villa Giulia, Verbania, 2008); Biennale Internazionale di Sabbioneta (Mantova, 2010); Biennale Internazionale di Jinan (Cina, 2010); Un’Altra Storia ex chiesa di San Francesco (Como, 2011); Via col Vento, Museo Arte Bambina (Vittorio Veneto,Treviso, 2012); Un’Altra Storia2. Arte Italiana 1980-1990″ (CCC-T Ex Birrificio Metzger, Torino, 2012); BAM Piemonte Project 5Contemporary Photobox (Chieri, 2012); Museo dei Brettii e degli Enotri (Cosenza, 2012).

Nell’ultimo decennio l’artista si sgancia dalle tematiche fisse alle quali non è più interessato. S’interroga sui mille perché dell’esistenza, sulle problematiche della luce, dell’ombra, della forma, dello spazio, della materia e dello scorrere del tempo. A chi gli chiede “Quali sono i tuoi soggetti?”, lui risponde: “I miei soggetti sono le domande che mi pongo”.

Si è cimentato nella dimensione dell’arte pubblica con una serie di opere realizzate presso il Museo d’Arte Urbana di Torino ed il Comune di Moncalieri.

Hanno scritto di lui:

Lucio Cabutti, Sandro Cherchi, Elena Pontiggia, Maria Teresa Roberto, Francesco Poli, Edoardo Di Mauro, Viana Conti, Boris Brollo, Maria Campiteli, Sandro Ricaldone, Renato Barilli, Aldemar Schiffkorn, Enrico Crispolti, L. Spadano,Tiziana Conti, R. Boston, L. Borghesan, A. Mistrangelo,Angelo Dragone, Mirella Bandini,Samuele Mazza,Cristina Morozzi, R. Di Caro,Lisa Parola, F. Fanelli, W. Santagata, N. Corradini, Arturo Quintavalle.

Nella seconda metà degli anni’80, fino ai primi anni’90, l’arte italiana dell’ultima generazione porta avanti una rivisitazione intelligente degli stereotipi formali delle avanguardie novecentesche, da quelle storiche fino alle più vicine nel tempo, compresi pop e concettuale, con un multistilismo che vede in quegli anni prevalere ancora la pittura, poi l’installazione e le proposte astratto-geometriche, condite da una buona dose di sagace ironia e da una dovuta immersione nel clima frenetico della post modernità.

In quel periodo si forma e prende corpo il progetto artistico di Ferruccio D’Angelo, che si pone all’interno di una linea di rinnovamento del linguaggio della scultura e dell’installazione nei confronti sia dei canoni, ormai superati, del monumentalismo d’avanguardia, che di quelli a suo tempo di rottura dell’Arte Povera. E’ comunque dal quel tracciato che trae inizialmente ispirazione il lavoro di D’Angelo, il quale non accetta, però,  sudditanze di tipo formale e ancor meno psicologiche.

Nei fatti il rapporto possibile ed idealizzato, tra artificio, inteso come tecnologia, e natura, è stato da D’Angelo invertito nei termini, con un netto predominio formale del primo, in accezione simbolica, rispetto al secondo. I bidoni riciclati, dipinti monocromaticamente con tempere acriliche blu e nere ed altre vernici, rappresentano, ad onta dello spunto iniziale, un superamento delle tematiche classiche dell’installazione concettuale, rivolto in direzione di un funzionalismo provocatoriamente vicino alle forme più recenti del design, come nel caso delle grandi sedie oggetto di una personale nella galleria milanese di Piero Cavellini nel 1991 e poi riproposte, sempre con successo, in varie altre occasioni nel corso degli anni. Anche quando oggetto della proposta è l’evocazione della natura, come nel caso dei tronchi d’albero e di altre soluzioni visive affini, il risultato è quello di un’immagine rigorosa formalmente, come un minimalismo aggiornato ai nostri giorni, ma al tempo stesso ludica, al pari dell’artificio assoluto tipico dei principali esponenti dell’oggettualismo pop italiano, come Gilardi e, soprattutto, Pascali.

Complessivamente lo stile degli anni’90 fino a questa fase centrale del nuovo millennio ha mantenuto inalterate alcune caratteristiche del decennio precedente, con alcune significative varianti, sia sociologiche che formali sempre più marcate ed evidenti in questi anni. Per il primo aspetto il pieno ingresso nella società postindustriale, segnato da una sempre più ampia invasività delle nuove tecnologie, ha innalzato notevolmente, anche in risposta ad una reale esigenza sociale, il numero di coloro che si cimentano in attività estetiche. Dall’altro la crescente immaterialità, se non artificialità, del nostro vivere quotidiano, ha generato due opposte reazioni. Da un lato un avvicinamento, nei casi peggiori un appiattimento, dell’arte sul reale, dall’altro un distacco, un rifugiarsi nei territori dell’allegoria e del simbolo. L’installazione si è sempre più incamminata nei territori dell’oggettualismo, la pittura ha mantenuto la sua centralità, grande successo ha conosciuto l’uso della fotografia e del video.

Ferruccio D’Angelo, tra le onde di questo caotico pelago, ha mantenuto salda la barra del timone, indirizzando il suo stile verso approdi sicuri. La passione per l’installazione si è mantenuta costante, ma sono state perlustrate altre anche strade, in coerenza  con il suo spirito saggiamente eclettico. Dapprima la fotografia, a colori ed in bianco e nero, in cui si riproducevano le installazioni stesse, con un risultato finale ambiguo e straniante. Successivamente con la proposta di sculture da interno, ancora più vicine all’universo dello stilismo e del design, e fede ne fa la partecipazione a varie rassegne internazionali dedicate alla contaminazione tra l’arte visiva e le sue varie applicazioni funzionali.

Negli scorsi anni l’artista si è concesso una pausa di interesse prevalente, con risultati eccellenti da un punto di vista estetico, nei confronti di una pittura dove solo in parte veniva mantenuta la fedeltà alla precedente dimensione minimale. Al contrario si potrebbe semmai parlare di una sorta di “barocco postmoderno”, di una teatralità e ridondanza dell’immagine contestualizzata però in una dimensione presente. Prova né è il richiamo “secondario” nei confronti della tecnologia, in particolare per i fotogrammi di immagini televisive e pubblicitarie che non venivano, però, proiettate sulla tela adoperando il ricalco fotografico ma si reinventavano iconograficamente con una modifica dei toni graduale, prodotta con colori ad olio ed una prassi, dal punto di vista squisitamente formale,  fedele ai canoni classici.

Nell’ultimo periodo D’Angelo conosce una fase di grande fermento e di felicità creativa supportata anche da un sempre più concreto riconoscimento dei suoi meriti artistici, dato questo che lo accomuna alla  urgente e non rinviabile esigenza di storicizzazione della generazione degli anni ’80 di cui egli è certamente esponente tra i più significativi. Mantenendo costante la sua produzione di installazioni sia monumentali che di scala più ridotta, nei lavori recenti D’Angelo è tornato all’antica predilezione per l’utilizzo di reperti oggettuali sferici, coperchi plastificati, materiali di recupero che nobilita con una grafia pittorica asciutta e rigorosa ma dai toni decisamente più caldi rispetto a qualche anno fa. Tracciati di linee ed addensamenti di colore che riecheggiano la tradizione di calligrafia aniconica dell’Informale europeo ed asiatico, ma anche i ritmi pulsanti dei graffiti urbani, con un risultato finale di immanente attualità.

Edoardo Di Mauro

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