Il 15 marzo è la Giornata nazionale del fiocchetto lilla per la sensibilizzazione e la lotta ai disturbi del comportamento alimentare. Malattie che non risparmiano lo sport quando l’ossessione per prestazione e l’attenzione alla cura del proprio fisico e della propria performance, subentrano in modo subdolo nell’attività, soffocando quanto di buono offre a chi la pratica e innescando la patologia in atleti forti fuori ma psicologicamente fragili, non necessariamente giovanissimi.
“Anoressia, bulimia, vigoressia sono alcune vere e proprie malattie che rischiano di trovare terreno fertile nei giovani atleti e sportivi amatoriali, adolescenti e non, a causa di uno scorretto approccio psicologico all’attività fisica, che al contrario dovrebbe essere veicolo di benessere e di equilibrio” – spiega il prof. Abbate Daga, responsabile del centro d’eccellenza per la cura dei disturbi dell’alimentazione dell’Ospedale Molinette di Torino – “E’ difficile per gli addetti ai lavori e per la famiglia, anche per lo stesso atleta rendersi conto del superamento del confine tra disciplina alimentare e patologia“.
Secondo Eurispes, si stima che 200 mila piemontesi soffrano di disturbi alimentari e ogni anno nella nostra regione vengono diagnosticati 260 nuovi casi di anoressia e 450 di bulimia.
Una malattia dei sentimenti e dell’anima, che si esprime attraverso il comportamento col cibo, dall’abbuffata alla completa privazione, fino ai comportamenti anticonservativi e in casi estremi alla morte. I disturbi del comportamento alimentare, poi in un secondo momento definiti della nutrizione e dell’alimentazione, sono presenti da sempre nella nostra società ma da pochi anni vengono presi in considerazione.
“Gli sport che esaltano l’aspetto e il peso possono costituire un rischio. Attività come il bodybuilding, la boxe, la ginnastica, le corse di cavalli, il tuffo, il pattinaggio artistico, la danza, l’atletica, la corsa e il nuoto mettono gli atleti sotto una forte pressione affinché si raggiunga un determinato peso, una dimensione corporea stereotipata o un determinato rapporto muscoli/grasso” aggiunge Daniela Capra, dietologa e medico specialista in nutrizione dello sport.
Quando la performance viene prima della persona, quando l’obiettivo subentra alla passione in soggetti spesso insospettabilmente fragili, si scatenano dinamiche dalle quali se non individuate è poi difficile liberarsi, in particolare quando si è in presenza di un team sportivo o un allenatore che incentiva il comportamento sbagliato per il raggiungimento dello scopo.
Nella borsa del soccorso a bordo campo occorre l’attenzione di tutti: della psicologia e della medicina, del preparatore atletico, della famiglia, dell’atleta stesso e della politica perché diagnosticare e curare il disturbo del comportamento alimentare oggi, in Italia, resta complesso per la difficoltà di accesso nei centri adeguati alla presa in carico del paziente. La realtà cambia a seconda della regione in cui si vive. Servono centri multidisciplinari, in grado di affrontare la malattia in tutti i suoi aspetti e complicazioni. Per questo la politica e le istituzioni hanno un compito delicato e fondamentale: ascoltare e reperire fondi affinché i centri vengano strutturati e che afferiscano alla Sanità pubblica territoriale.
L’ultimo censimento del 2023 parla di 126 strutture sul territorio nazionale. Fra queste 112 sono pubbliche e 14 private accreditate. E il problema è che ci sono enormi differenze nel paese in quanto 63 centri specializzati nei Dca sono al Nord (20 in Emilia Romagna e 15 in Lombardia).
Nel Centro scendono a 23, di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria, mentre 40 sono distribuite tra Sud e Isole, 12 in Campania e 7 in Sicilia. In Molise dove non c’è nulla, mentre in Puglia, Sardegna, Abruzzo e Calabria ci sono un paio di strutture specializzate.
Nel 2023 sono aumentate le richieste di cure e si è abbassata l’età di esordio. In tutto i pazienti che hanno ricevuto trattamenti sono stati 3.678.362 nel 2023, dati comunque sottostimati perché moltissimi casi restano sommersi.
Da tempo la rete di assistenza risulta insufficiente e lo sarà ancora di più con il taglio del Fondo nazionale destinato alla cura di queste patologie, prima azzerato e poi, a fronte delle proteste delle associazioni dei familiari, tagliato da 25 milioni a 10, ripartito in due anni, da suddividere nelle regioni.
Raffaele Gallo, presidente del gruppo PD in Consiglio regionale è tra i primi firmatari della proposta di legge per la lotta ai disturbi del comportamento alimentare e per il rafforzamento di una rete territoriale di cura multidisciplinare. Una proposta che poi seguita da quelle di altre forze politiche, è stata da propulsione per l’apertura di un dibattito e il raggiungimento di un testo condiviso, la legge regionale 10/22 “Disposizioni per la prevenzione e la cura dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e per il sostegno ai pazienti e alle loro famiglie”.
“Il compito della politica è stato quello di accendere un faro sulla situazione di pazienti. L’approvazione della legge per contrastare i disturbi alimentari e aiutare pazienti e famiglie nel percorso di cura con il rafforzamento della rete di cura è stata approvata e finanziata con un milione e ottocentomila euro, fondi del Ministero della salute. Poi però il Governo ha tagliato quei fondi, di fatto dimezzandoli. Una decisione inaudita.”
Dalla famiglia alla scuola e non ultimi le palestre, i campi di allenamento, le piscine, l’attenzione di ciascuno deve essere alta: prima la malattia viene diagnosticata, maggiore è la possibilità di completa guarigione. Per questo è necessario fare squadra: vincere insieme i disturbi alimentari si può, se ciascuno fa la sua parte.
a cura di Rosanna Caraci
Consigliera della Città Metropolitana di Torino e del Comune di Venaria